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7 ottobre 2018 - GF Tre Valli Varesine

Domenica mattina, 7.30, l’aria è fresca, temperatura di una decina di gradi, tenuta estiva con i manicotti. Mi avvio lentamente verso Varese, cercando di non sudare e soprattutto di non andare a tutta. Ho un’ora di tempo per fare 22km, quindi mi sforzo di andare piano, far girare bene le gambe e avere buone sensazioni.

La cosa funziona anche se diventa ossessiva: con l’occhio fisso tra il contachilometri e il cardiofrequenzimetro più che alla strada. Per fortuna trovo il ritmo e apprezzo il fatto di scaldarmi progressivamente, così la sensazione di freddo se ne va presto.

Niente traffico, ancora troppo presto. Sembro a passeggio. E intanto penso come interpretare la gara, spero di entrare in un gruppetto che non tiri troppo presto per fare il tratto di pianura iniziale, poi la salita all’Alpe Tedesco con il mio ritmo, la discesa pure sperando poi di ritrovare qualcuno per la pianura sul lago di Lugano. L’importante è non partire a tutta altrimenti a metà gara finisce la benzina e mi ritrovo con la luce spenta.

Con questi pensieri, prendo la salita per Varese, con un sole che finalmente illumina un po’ il mattino, senza però scaldare troppo. Metto il rapporto agile, quasi da salita estrema, ma non voglio sprecare nulla del carburante utile per la gara, rimanendo incurante dei pochi ciclisti che mi superano, taluni tipici della domenica, riconoscibili dall’aspetto tutt’altro che atletico.

Progredendo verso il centro di Varese si incontrano sempre più ciclisti, con il numero sul manubrio, che si stanno riscaldando in vista della partenza.

Eccomi arrivato, con tabella di marcia rispettata, cerco la mia griglia e entro. Solo in questo momento mi rendo conto che sono le 8.30 e devo aspettare un’ora alla partenza. Cosa che non ho mai fatto. Fermo un’ora prima di partire. Forse mi conviene uscire e rimettermi in coda fra una mezz’oretta. Davanti a me sono in pochi. La partenza separati per età, imposta dalle regole UCI, è un’idea ottima, così ognuno parte nel gruppo della categoria di appartenenza. Sette minuti tra una categoria e l’altra. La gara parte alle 9. Io alle 9.28.

Improvvisamente mi viene un’idea … Diavolo! Più che un’idea è una scimmia! Di quelle che ti martellano in testa fisse e non riesci a mandarle via. La scimmia insiste “parti a tutta, stai attaccato ai primi per tutta la pianura, la prima salita la fai al massimo, la conosci e l’hai fatta più volte, conosci anche la discesa, vai a tutta e poi spera per il tratto in pianura. Se finisci la benzina a metà devi per il percorso della Fondo Medio, se finisci la benzina a tre quarti, ti accodi a qualche vecchietto e ti trascini fino a Varese”

Man mano che passano i minuti la scimmia mi convince sempre di più.

Nove e ventisette…. Meno tre … Meno due … lo speaker fa il countdown … Mano uno … Partita la categoria M4.

Via a tutta, il gruppo si allunga già nei primi cento metri, rotonda enorme in piazza, inversione di marcia, curva a destra, trecento metri di rettilineo, poi salitina che ti uccide, ma io non la sento proprio, guardo il contachilometri e sono a 37 all’ora su un pezzo di strada che normalmente faccio a 22 o 23. Recupero qualche posizione, cerco di prendere una scia ma sono lenti, mentre quelli davanti allungano. Destra, rettilineo dell’ippodromo, spingo al massimo. Rotonda a sinistra e discesa verso la Valle Olona. Qualche centinaio di metri. Il vantaggio di conoscere la strada mi suggerisce di stare a sinistra, tagliamo la rotonda nel fondovalle e risaliamo dalla parte opposta, nuova rotonda presa contromano e via che inizia la Val Ganna. Alzo lo sguardo. Cerco una ruota a cui attaccarmi, ma nulla. Il gruppo davanti è a trenta, forse cinquanta metri. Dietro di me una decina di metri di vuoto. Aspetto quelli dietro o spingo e prendo quelli davanti? Pochi secondi di indecisione, guardo il cardio: novantotto per cento. Miiiiii. Alla faccia del partire lento, sono in pianura e sono al 98% della frequenza massima. La scimmia ora mi grida in inglese. Go go go! Uan andred persent pauer. Giù un rapporto, fuori sella e sprint a chiudere.

Sono solo trenta metri, forse cinquanta, ma quando stai andando a 45 all’ora per chiudere quel varco ci vuole una vita. Spingo a tutta, vado a sinistra per prendere la corda della curva, guadagno una decina di metri, recupero, recupero. Sento la scia del gruppo, l’ho preso! Come un radiofaro traente vengo risucchiato dal gruppo. Sono in coda, ma è il gruppo di testa. Davanti la moto della polizia che fa da apristrada è chiaramente visibile. Se non fossimo a cinquanta all’ora potrei quasi raggiungerla.

Mi volto. Il vuoto. Il lontananza il gruppo che avevo a pochi metri di distanza qualche secondo fa, ormai sembra perso. Guardo quello accanto a me e dico: “per fortuna che fra tre km inizia la salita così mi riposo”. Mi guarda e dice: “in salita facciamo la differenza, che qui siamo in troppi. Troppo lenta questa partenza”.

Sta scherzando? Dai, sta scherzando. O no? Capisco che non scherza solo all’inizio dell’Alpe Tedesco: va via come un missile, che io nemmeno su un cavalcavia avrei fatto uno scatto del genere, mentre qui siamo su una salita di 4km all’8%.

Che faccio? Riduco il ritmo per tornare in soglia oppure spingo a tutta costantemente al 96-98%? Non mollare!

Al primo tornante incontro già i ritardatari della categoria precedente. Sono sempre di più, ma quelli bravi della mia categoria guadagnano sempre più metri. La moto della polizia la vedo al primo tornante appena avanti a me. Quando sono al secondo lei è già infondo, e al terzo la perdo definitivamente. Ma continuo col mio ritmo indiavolato. Tutti quelli che supero, e sono tanti, sono della categoria precedente. Nessuno col pettorale della serie 3000 che identifica la mia categoria. Vedo se riesco ad aumentare ancora un poco, ma sono veramente al limite.

Ne raggiungo uno e mi affianco. Cerco di capire che tipo è, e vedere se si può fare coppia in vista della discesa e poi del tratto in pianura sul lago di Lugano. Ma il cervello è troppo annebbiato, non riesco a ricordarmi il numero. 3088? 3123? Che numero ha questo? Lo leggo sulla schiena. Lo leggo dieci volte, leggo anche il nome che è scritto sotto. Ma non riesco a ricordarmelo. Sono in pappa completa.

Però una cosa la so bene, questo è l’ultimo tornante. Ancora 300metri, poi curva e spiana. D’istinto dico “Dai che dopo la curva spiana!” Mi risponde: “sei sicuro al 100%?”

E io: “Sì, al 300%”. Lui: “E allora via a tutta, tira fuori anche quello che non hai”. Con uno sforzo incredibile lo seguo e chiedo “questa non l’ho capita”. Mi risponde ansimando “tanto poi c’è la discesa per recuperare, tanto vale che in cima ci arrivi morto e recuperi posizioni”. E in effetti ne prendiamo una decina del nostro gruppo.

Discesa.

La conosco a memoria. Asfalto nuovo, asciutto e pulito. Mi lancio come un pazzo a tutta. Ne supero uno, due, tre. Non credevo di essere migliorato così tanto. Discesa lunga, stretta e a curve nel primo pezzo, poi si allarga e diventa facile con curve ampie. Ci ricompattiamo: una decina. Stradone di Cuasso al Monte. Solitamente spingo a tutta e lo faccio a 48-50 all’ora, Guardo lo strumento e mi spavento: 62. Davanti e me nessuno, dietro a ruota un gruppetto, ci diamo il cambio ogni 2-300 metri, in pochi istanti restiamo solo in tre.

La strada stringe. Mi passano i due dietro. Gli grido “guarda che stringe in centro al paese”. Con un zig-zag degno del miglior Alberto Tomba passano tra le case come un razzo. Io perdo terreno. Conosco benissimo la strada, ma questi due davanti sono funamboli. Cerco di recuperare, e ci riesco.

Curvone in discesa. Arrivo a tutta, in frenata li infilo entrambi. Uno mi grida: “sei lungooooo!”.

Luuuuuuungoooooooo! Altro che luuuuuungooooo! Tiro il freno a tutta. Blocco la ruota posteriore, sposto tutto il peso dietro per evitare che si alzi, affondo sul freno davanti, mi intraverso, scodo da paura. Non curva! Non curva! A due centimetri da una casa, la bici curva, evito il cordolo del marciapiede per un millimetro e con la spalla faccio la barba a uno spettatore.

Che paura!

Quello davanti a me, mi dice “che artista!”. “Artista un cavolo”, dico, “per poco mi stampo sul muro”.

“Occhio all’adrenalina”, mi dice, “vai davanti a tirare e respira profondamente, non scendere di battiti altrimenti svieni”.

Capisco quello che vuole dirmi nel giro di pochi secondi: il respiro mi diventa corto, quasi a vuoto. La vista si annebbia. Campo visivo stretto. Cavolo. Ora svengo veramente. Mi fermo o tiro!. Davanti a tirare. Pochi secondi e tutto torna normale. Mi supera e mi chiede “tutto ok?”. Che gentile.

Lungo lago in tre. Cambi regolari, curve tagliate, traiettorie pennellate.

Sembra facile, ma io sono sempre bel oltre il 90% della frequenza cardiaca.

Salita di Ardena. “Ragazzi, grazie della compagnia, grazie per i consigli, ma io questa salita la faccio con calma”. Insistono perché stia con loro, ma proprio non ce la faccio.

Prendo il mio ritmo, cambio agile, e salgo. Però ne supero tanti, tanti che rimangono indietro. Prima dello scollino raggiungo i due di prima. “Ragazzi, ci sono!”.

Swooooom… Swooommm…. Swooommm. Tre missili, pettorale 4000, sono quelli partiti dopo di noi. Sette minuti dopo di noi e ci hanno già raggiunto. Io che sono andato a tutta, come se la gara dovesse finire adesso. Uno dei due compagni mi guarda e mi dice “Vedi, pensi sempre di andare a tutta, di essere al massimo, e comunque ci sono quelli bravi che vanno più forte di te anche se sono più vecchi”.

Nuova discesa, conosciuta anche questa, che mi permette di non perdere posizioni. Ormai i giochi sono fatti. Capisco di essere con quelli giusti, con quelli delle mie capacità. Ma quanto durerà la mia benzina? Cerco di alimentarmi, di non smettere mai di bere e di stare a ruota. Salita discesa, mangia e bevi, velocemente arriviamo al bivio del percorso medio e del lungo. “Medio o lungo?” chiedo ai due compagni di avventura. “Lungo!”. Non riesco nemmeno a rispondere che ho già preso il bivio verso destra.

Salita, ancora salita, ma poi c’è la discesa. Nuovamente, a trecento metri dallo scollino dico “dai dopo la chiesa è discesa”. E quello parte ancora a tutta e io dietro. Ah… già… lo sprint prima dello scollino che poi c’è il riposo della discesa.

Via con la discesa. Bella, ampia, pulita, dove puoi tagliare le traiettorie come non mai. Sono davanti, e guadagno qualche metro. Pennello le curve come non mai, la bici tiene. Rilancio e via. Freno, mi sposto dalla parte opposta, sguardo all’interno, e piega. Una, due, tre. Alla quarta ci prendo gusto. Aaaaaaarrrrrrrrhhhhhhh. Sono nuovamente lunuuungo.

Blocco la ruota dietro, bici che scoda. Recupero all’ultimo istante. Per fortuna non c’è il muro davanti a me ma il bosco. Prima di uscire di strada recupero.

Lascio passare i due e mi metto in coda, a debita distanza. Rettilineo in discesa: che fai? Non pedali? Perché? 60 all’ora sono sufficienti? Se pedali vai a settanta.

Ecco, mo’ ci si mette ancora sta scimmia. Giusto per recuperare in discesa, il cardio mi dice che sono sempre al 90%.

Lago Maggiore. E’ subito accordo. Un minuto a testa a tirare. Con noi anche qualcuno dei 4000, che sono quelli forti.

Uno di loro mi dice “se sei mediocre non devi raggiungere quelli davanti perché raggiungeresti quelli scarsi che non ti servono a nulla, devi accodarti a quelli dietro che ti superano perché sono più forti di te”.

I compagni rimangono quelli fino a fine gara, chi supero in salita, mi ripassa in discesa, e continuiamo così con cambi regolari, chi rilancia, chi chiude e così via. Ogni tanto ne perdiamo qualcuno perché non ce la fa più.

Io mi sforzo di non mollare, soprattutto in vista del lago di Varese. 10km di pianura che se affronti da solo sei morto.

Tengo, a fatica, ma tengo il gruppetto.

Ecco il Lago, e un bel cartello: 20km alla fine.

Ora è tutta pianura tranne gli ultimi 3km, quando il percorso risale verso Varese.

Qui diventa tattica. Secondo me tanti del gruppo conoscono il percorso, perché sanno che gli ultimi tre km sono salita dura, e quindi nessuno tira. Di fatto, spesso mi trovo davanti. Tiro un po’, cerco di farmi sfilare, ma non è così facile. Anche se mi sposto a sinistra, non mi passa nessuno e stanno sempre in coda a succhiarmi la ruota.

Due rotonde veloci e poi la salita finale.

Svolta a sinistra. Mi giro e dico: “ragazzi, tutta vostra, niente tattica ora, raspiamo il fondo e mettiamo tutto quello che c’è rimasto”.

Mi passano in una decina. Io riprendo un po’ fiato dopo la tirata del lago. Mi bastano pochissimi minuti, poi vado in fuori sella, metto il rapporto agile e vado su. Il rapporto è agile, mooolto agile, il 30/24, quello con cui faccio il Gavia. Ecchissenefrega se questo non è il Gavia? Le gambe girano bene e ne supero tanti, tutti delle categorie precedenti, qualcuno sembra salire a velocità da equilibrista, io mi sento uno scalatore. Rivedo i miei del gruppo di prima, avanti, ma non di molto. Li punto e recupero, un metro dopo l’altro, recupero e supero, punto al successivo, recupero e supero, avanti un altro.

La flame rouge! Ultimo km! Spiana leggermente, quello davanti accelera, a fatica gli sto dietro. A ruota, ne prendiamo un altro. Anche lui va a tutta, Stiamo a ruota.

Curva a destra. Rettilineo di arrivo. Trecento metri.

Che faccio? Parto. No, tranquillo ancora un poco.

Duecento metri. Mani basse, giù un rapporto e via in sprint!

In quattro. Ci guardiamo. Fuori tutto. Uno perso. A cento metri molla anche il secondo. Il terzo non molla, non molla, mi affianca e mi supera. Cerco l’ultimo sforzo ma non ce n’è. Passa lui.

Sul traguardo un grido di liberazione.

Finita!

Gara bellissima!

A tutta, dall’inizio alla fine. A tutta.

Risultato: 52mo di categoria (su 154 arrivati). 292mo assoluto su 820 arrivati.

Direi il miglior risultato raggiunto finora.

Confrontandola con l’anno scorso dove arrivai 790mo su 1100 arrivati, direi che quello di quest’anno è stato un grande successo.

Se continuassi così l’anno prossimo potrei arrivare primo!!!!

Che dire, c’è tanta gente che pedala forte!


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