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8 agosto 2017 – Gavia in Tandem

Martedi 8 agosto, esco dalla casa di Vezza alle 6:30, ho idea di fare il Mortirolo, lato “facile” da Monno. La stanchezza nelle gambe dei giri dei giorni scorsi si fa sentire (ieri ho fatto il Gavia, e il giorno precedente ho fatto il passo Gallinera di corsa, 1200 m di dislivello).

Dal Mortirolo proseguo per Trivigno e poi l’Aprica. Scendo a Edolo, sulla strada più bella del mondo perché è larghissima, 15km costantemente tra i 40 e i 50 all’ora senza toccare un freno, e rientro a casa per le 9:30.

Appena entro in casa Emanuele [mio figlio] mi dice: “oggi andiamo al Passo. Alessandra [mia figlia] vuole stare a casa, quindi possiamo andare solo io e te.”

Azzz ….. io sono morto e lui vuole andare al passo. Che faccio? Lo deludo? “Va bene, andiamo al passo.”

Maglia termica, antivento, viveri, acqua e si parte.

Fino a Ponte di Legno tengo bene, poi la strada comincia a salire. Sento che spinge parecchio, lo tranquillizzo sul fatto che la salita è lunga, che dobbiamo conservare le forze. Lo dico più per me che per lui.

Quando la strada si restringe e impenna parecchio, saliamo per un po’, poi capisco che è al limite, e quindi lo faccio scendere e proseguire per un tratto a piedi mentre io pedalo a velocità ridotta.

Ripartiamo a pedalare. In silenzio. Ci godiamo il panorama che diventa sempre più ampio e dominante.

Vede la strada sopra di noi e mi chiede: “dobbiamo andare fino a lassù?”

“No”, rispondo io, “dobbiamo andare molto più su, la strada non finisce lì, prosegue per altri 7 km. Se vuoi tornare indietro possiamo fermarci qui, dopotutto ne abbiamo fatto metà, è già un successo”. Lo dico più per le mie gambe che cominciano ad essere a corto di benzina.

“Ah ecco, speravo non finisse lì!”

Proseguiamo a ritmo lento, ma costante. Ad un tornante superiamo un gruppo di ciclisti con la e-bike fermi ad ammirare il panorama. Uno di loro dice “Eh… comodo per quello dietro”. Mio figlio replica secco “Zitto tu che hai la bici elettrica”. Si sentono risate nel gruppetto “Ah aha ah! T’ha cattato subito”.

Stop prima della galleria: accendiamo le luci. Risaliamo e proseguiamo. Fuori dalla galleria fa freddo, vento e nuvole minacciose salgono dalla vallata. Lui si copre, io preferisco soffrire il freddo che contrae i muscoli e fa sentire meno la fatica. Facciamo un tratto a piedi mangiando un panino.

“Quanto manca?” mi chiede.

“3km”.

“Allora, avanti fino al passo”

“Ma sono molto duri, soprattutto i primi due”

“Vediamo fin dove arriviamo”.

Difronte a tanto entusiasmo nonostante freddo e fatica non mi resta che rimontare in bici e proseguire.

Dopo 3 ore di salita, esattamente il doppio di quando ce ne impiego io, siamo al passo. Ma che importa del tempo impiegato a fronte di un’impresa simile? Hai mai chiesto a uno che ha scalato l’Everest se ha impiegato tanto? La prima volta l’importante è arrivare lassù.

Lui è soddisfatto, ha raggiunto il passo. Io sono orgoglioso di lui. Fatica e sudore ripagati dall’aver raggiunto la meta. E nemmeno lui sa perché si sia felici di questa cosa. Io non sarei in grado di spiegarla: si scala una montagna perché la montagna è lì per farsi scalare. Si fa una salita perché altrimenti non sarebbe una salita.

Giorno da ricordare con una foto.


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